Chef Rubio: Intervista a Cuore Aperto

Si chiama Gabriele Rubini, ha una voce melliflua scandita da un accento romano. Chef per il pubblico, ma cuoco nel suo intimo, Gabriele sta scavando da anni dentro una cucina sgrassata da tutti i fronzoli che le vengono attribuiti oggi. E nel frattempo sgrossa temi caldi, sul sociale e sull’ambiente, in modo tale da renderli appetibili a tutti. Chef Rubio ha un nipote, due crociati su quattro, diverse serie televisive alle spalle e cinque anni fa diceva che nei successivi cinque sarebbe morto. Lo abbiamo intervistato, vivo più che mai.

Ormai è passato un po’ dalla presentazione di Elias, cortometraggio recitato da rom presentato il 22 settembre 2018 all’Auditorium Parco della Musica. Ma che ne pensi, a freddo, di questa esperienza?

Bene. Ho portato gli zingari sul red carpet.

Soddisfatto?

Sì. Ho letto molto su gitani, rom e sinti quindi, in qualità di produttore esecutivo di questo progetto filmico, sono stato capace di dettare la mia linea editoriale: quella della conoscenza. Ho chiesto sia al regista, Brando Bartoleschi, che all’organizzatore Gabriele Efrati, di leggere molto. E dopo che hanno compreso la missione siamo andati avanti su tutto il resto.

Perché proprio loro, gli zingari?

Me ne ero già interessato per motivi personali e per progetti fotografici. Mi appassionano le storie degli ultimi, dei segregati. E mi piace estirpare i pregiudizi, come anche l’emarginazione.

Che cucinavi loro, quando stavi nei campi rom?

Le famiglie con cui abbiamo lavorato provengono dall’ex Bosnia e sono fuggite dalla guerra del Kosovo quindi preparavamo le loro specialità: agnello allo spiedo, börek e altre ricette della cucina musulmana. Ma anche i piatti italiani sono spesso sulle loro tavole.

E com’è andata?

Bene. Sono entrato in punta di piedi. Non mi piace il cinema invasivo, quello in cui viene proposto un unico punto di vista. Sono più per i documentari e i film d’autore. Su una mia opera, in cui ci metto testa e cuore, non devono esserci errori o discrepanze.

Dai campi rom ai gorilla. Com’è andata in Africa?

Sono stato a Dzanga Sangha, riserva nel cuore della Repubblica Centrafricana. Io mi sono occupato della regia e Gabriele Efrati della fotografia del video per la campagna WWF. L’ho prodotto con la mia società Tumaga e ne sono orgoglioso: volevo farlo per far conoscere cosa succede in quei luoghi, quali sono le minacce e le prospettive.

Si sentiva un rumore di sottofondo.

Che stai mangiando?

Nulla ma ho sete.

E allora bevi. Che bevi?Acqua Alisea, ci sono 5 stelle sopra l’etichetta. Ma non quelle del partito, eh!

Li hai votati?

Non voto.

Torniamo alle prospettive per i gorilla…

Sono nere. Come il doping è sempre davanti l’antidoping, anche il bracconaggio va sempre oltre l’antibracconaggio. Prevedo un futuro nero. Dovremmo portare avanti un processo lungo, virtuoso in cui provare a salvare la specie umana, altrimenti ci ritroveremo in un mondo arido e inospitale. Nel corto le interviste sono state fatte sia in francese che inglese per cercare di informare quanto più possibile su quella fetta di mondo. L’Africa è piena di situazioni cruciali e dobbiamo fare di tutto per insegnare ai nostri figli che non si vive senza rispetto.

Qual è l’odore che ti ricordi di quella terra? Quello del cibo o altro?

Abbiamo sempre mangiato cose basilari, come per esempio fagioli, pesce secco e burro di arachidi. Ma l’odore che mi ricordo di più è quello dell’umido della terra. Del sottobosco.

Ti piace tornare alle origini.

Mi piacciono il bello e il buono che spesso risiedono solo nella semplicità. Per questo penso che bisogna tornare all’essenzialità delle origini. Ormai siamo contornati dalla complessità, siamo costantemente bombardati da un sacco di cose, odori, ingredienti, concetti, parole eccetera. E invece meno si fa e meglio è, in cucina come in tutte le arti. Bisogna sgrossare, quindi togliere invece che aggiungere. Pensaci un po’: non sappiamo più scrivere a mano.

Qual è il piatto che rappresenta la tua infanzia?

Seppie con i piselli.

Unti e bisunti, Camionisti in trattoria e poi?

Stiamo lavorando a qualcosa.

Sempre su mezzi di trasporto?

Ci sarò sempre io. Mi piace lavorare su progetti immersivi, vissuti in prima persona. Mi piace comprendere le cose profondamente e non per sentito dire.

Quando penso a te mi viene in un mente tutto tranne che uno chef. Direi più un cuoco. Perché chef Rubio?Chef sta per capo. Comandare me stesso è il mio sport quotidiano dato che ho sempre lavorato da freelance. Il cuoco è cuoco. Quindi Chef Rubio è più che altro autoironico, è privo di spocchia.

Giochi a rugby ogni tanto?Se scendo le scale rischio di separarmi, quindi no. L’estate faccio qualche passaggio con la palla tra amici o con mio fratello. Ma niente di più.

Dove ti vedi tra 10 anni?5 anni fa dissi dentro una tomba. Ce ne avevo 30. Ora che ne ho 35 dico che posticiperei la previsione di altri 5 anni.

Perché?Siamo di passaggio, dobbiamo lasciare qualcosa su questa terra. E sto cercando di fare del mio meglio. Spero di donare qualcosa di bello a mio nipote.

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