Michael Gardenia, fotografo e content creator che ama il caffè
Cultore del caffè e follower dei trend culinari, purché questi vengano fotografati e poi mangiati, fino all’ultimo chicco. Michael Gardenia è quello che ci vuole per farsi una cultura sul mondo della bevanda più famosa al mondo: il caffè. Ma se i chicchi neri condiscono di colore le mattine di questo fotografo di professione, vini naturali e ristoranti – purché esprimano carattere attraverso il loro design – sono gli altri ingredienti che danno pepe alle fotografie proposte da Michael. La caffetteria lo incuriosisce, il locale particolare gli fa fare lo scatto, ma è il food quello che gli ha dato lo slancio: “il cibo lega le persone”, afferma il content creator. E così, con un caffè in mano, in un venerdì mattina piovoso, mi sono legata per un’oretta alla storia di Michael, per raccontarvela in questa intervista.
Finisci veramente tutti i piatti che fotografi?
Assolutamente sì. Non si spreca niente. Da food photographer voglio che quella situazione che sto fotografando venga vissuta davvero, voglio che accada realmente. Solo così riesco a far vedere cosa vuol dire essere un fotografo ma anche un content creator.
Il piatto che ricordi di quando eri piccolo
La pasta che fa la mia madrina: penne alla ligure, ma quelle al pesto! Lei vive vicino Savona, quindi tra mare e Alpi Liguri, e la ricetta creata da lei rispecchia un po’ questa posizione geografica: pancetta e sugo che a volte viene arricchito con il pesto e spesso insaporito con i funghi. Insomma la classica base ligure con aggiunta di sapidità grazie a pancetta, funghi e parmigiano. Ogni volta è diversa, ogni volta è più buona.
Rimaniamo in tema pasta. Perché il tuo blog si chiama FusilloLab?
Fusillo è nato attorno a un tavolo con altri amici fotografi, volevamo creare un raccoglitore di belle foto, che rappresentassero cose piacevoli, buone. Ho continuato il progetto da solo. Inizialmente era solo un portfolio di fotografie, in cui compariva sempre lo stesso set: il piatto cucinato messo vicino la finestra su un ripiano di legno grezzo e dove la luce era perfetta. Poi ho iniziato a parlare di situazioni vere, del dietro le quinte. In realtà di fianco alla finestra delle volte c’era lo stendino, un classico degli appartamenti per studenti a Milano. E così ho cambiato stile, creando un contesto autentico, che parlasse del “dietro alla macchina fotografica”. Così è nato Fusillo Lab in quanto spazio fisico.
Ma adesso ti dedichi anche a organizzare eventi. Quello che ha più successo?
La colazione della domenica insieme alla mia amica Lidia di Nonsolofood. E in questi corsi, oltre a parlare di food, nascono sempre nuovi rapporti tra i nostri invitati. Cerchiamo di scegliere eventi e workshop che raccontino valori: il fatto a mano, lo slow living, il mondo degli artigiani.
Le prossime tendenze nel food?
Una cosa in cui credo molto è il mondo della caffetteria. L’Italia si vanta di essere la patria dell’espresso e del cappuccino e “all’estero il caffè fa schifo”, si dice; ma non è vero. Il caffè è buono in base a come viene prodotto, torrefatto. E poi c’è la mano del barista, che è un guru del proprio mestiere. Il trend dello speciality coffee, vale a dire quello tracciato, in cui i chicchi vengono ben selezionati e poi tostati in modo da sviluppare al meglio tutto il loro potenziale, sta arrivando anche in Italia. E questa tendenza, nei prossimi due anni, aumenterà sempre di più. Non è un caso che a dicembre c’è stato il primo Milano Coffee Festival. E neppure che a settembre ha aperto il primo Starbucks Reserve in Italia.
Che significato ha l’apertura di Starbucks Reserve a Milano?
L’Italia è finalmente pronta ad approcciare questo nuovo mondo. Starbucks è un colosso ed è arrivato nel momento giusto. Se ha deciso di aprire nel centro di Milano solamente quest’anno è perché chi ha studiato il mercato ha capito che era giunto il momento, anche in Italia, di parlare di caffè in modo moderno.
In che senso in modo moderno?
Quando bevi un caffè al bar il più delle volte non sai cosa stai bevendo. Non c’è nessun packaging, non è come quando un sommelier ti porta una bottiglia di vino al ristorante. E neppure quando compri il caffè al supermercato sai da dove arriva esattamente o come è stato lavorato. Eppure il caffè è simile al vino, per metodi di lavorazione e di fermentazione. Per il caffè al bar non chiedi nulla, ti ritrovi davanti la tazzina. Punto. Questo è un caffè che non ha niente da raccontare. Eppure, per cultori del caffè come diciamo di essere, sarebbe bello sapere se quel caffè è stato coltivato a 2000 metri in Kenya e presenta note sensoriali di frutti rossi. Una confezione di specialty coffee, invece, riporta tutte queste informazioni. La verità è che in Italia abbiamo un palato ignorante.
E chi ce l’ha, nel mondo, un palato esperto da caffè?
Gli australiani. Lì hanno chef incredibili anche nelle caffetterie. Se a Milano, la mattina, vengono serviti caffè e brioche, in Australia la caffetteria propone un menu lungo una pagina, oltre che una lista di piatti che fa invidia ai migliori ristoranti di Milano. In quella terra lontana, rispetto all’Europa sono più propensi alla ricerca di materie prime. In Italia veniamo da una tradizione culinaria in cui le ricette sono super processate, estremamente cotte. Lì hanno tre ingredienti, cucinati alla perfezione e con semplicità.
Come sono le caffetterie in Australia?
Le caffetterie australiane, oltre che per il food, hanno un occhio per il design e trattano il loro locale proprio come un brand, con una visual identity ben definita, che arriva fino ad avere una macchina espresso personalizzata in base all’interior design. Per loro “to go out for coffee” non significa andare a prendere un caffè, ma trovarsi e magari bere altro o addirittura pranzare.Mentre stavo facendo il giro della Great Ocean Road, tornando verso Melbourne mi sono fermato al Bespoke Harvest, uno dei ristoranti che più mi ricorderò di quel viaggio. I piatti erano semplici e deliziosi, preparati con materie prime raccolte nel giardino che si trovava sul retro. E non posso paragonare questo ristorante con i nostri agriturismi, che propongono spesso piatti pesanti. In Australia, vengono offerti menu molto semplici e di stagione, in contrapposizione con interni molto studiati nel design. E gli chef non sono arroganti, ma molto aperti, umili.
La capitale del food adesso?
Copenhagen, in Europa. Nel mondo scelgo Melbourne. In Australia l’approccio alle cose naturali, moda che a Milano è iniziata da due anni, è partita 15 anni fa.