Federico Ferrero, l’Irriverente Gastronomo Piemontese

Federico Ferrero: torinese, studioso, chef non praticante. Si potrebbe descrivere così il vincitore della terza edizione di Masterchef, gastronomo che chiama ogni ingrediente col suo nome. Aborre il food e ama il cibo, detesta il vino piemontese di oggi e sorseggia spesso quello naturale, esecra i miti delle cucine regionali e i detti sui bambini cui non piacciono le verdure. E pensa che la cucina italiana, purtroppo, ha poco di popolare e molto di aristocratico, perlomeno nelle sue origini. Questi e altri pensieri eterodossi li espone spesso sulla sua pagina Facebook, ma prima di cliccarci su gustatevi questa intervista. Irriverente, a tratti beffarda e del tutto inaspettata.

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La cosa più bella che hai fatto dopo aver vinto Masterchef?

Ho scritto uno spettacolo teatrale, “Il principio era il brodo”, che faceva parte dei sogni della mia vita perché sin dall’infanzia sono appassionato al teatro. Alle medie facevo addirittura recitare i miei compagni di scuola. E quindi aver messo in scena questo spettacolo è stata la cosa più bella fatta sinora, accompagnato anche da un gruppo di bambini.

Proprio di loro volevo parlare. In che modo li avvicini alla gastronomia?

Porto la cultura del sapore dentro di loro. Il modo in cui possiamo difenderci dal cibo finto passa per la conoscenza del sapore e non delle etichette. Il sapore è un ottimo proxy della complessità delle sostanze nutritive. Se il pomodoro ha decine di sostanze aromatiche riesce ad averne altrettante nutritive. In caso contrario c’è povertà nutrizionale.

E con quale sapore li hai sorpresi?

Col cavolfiore, che adorano. Tutto quello che si dice sui bambini che odiano le verdure è falso. Se come premio per una buona pagella vengono portati a mangiare al McDonald’s passa il messaggio che sia questo il cibo per le grandi ricorrenze. Prima era la carne, mangiata due volte l’anno.

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La puzza di cavolfiore sparsa per casa se la ricordano quasi tutti con disgusto, però.

Il cavolfiore che puzza, non ha gusto e ha un colore sgradevole è quello del supermercato. Quello del contadino, cresciuto lentamente, non è così. Nella cucina che ha attraversato ottomila anni di storia il cavolfiore si poteva mangiare anche crudo. Poi è arrivata la rivoluzione industriale e il sapore è cambiato. Sai cosa mi è capitato? Ho ricevuto chiamate dalle maestre raccontandomi di bambini che dicevano ai genitori che la verdura comprata “non era quella giusta”, che ce ne sono di più buone. E tu a Berlino come fai?

Le cose buone ogni tanto le trovo, italiane e non. Soprattutto quando si parla di cavoli tedeschi.

Le crucifere sono state alla base della cucina tedesca per moltissimi anni. Quando si facevano grandi insalate con patate, cavolfiori, barbabietole. Poi è arrivata l’industrializzazione nella Germania ovest e quindi la cucina del supermarket, dove oggi vengono venduti addirittura i fiori. E poi è arrivato il currywurst, nato appena 20 anni fa, che rappresenta solamente la Berlino di oggi. La cucina tedesca era squisita ma oggi trovare vere bontà è non raro: rarissimo.

Basta cavoli. Parliamo di cosa (cavolo) ti è passato per la testa per diventare un appassionato della cucina in senso lato.

Me ne sono accorto quando i miei amici mi raccontavano di episodi in cui eravamo insieme, parlando principalmente di me all’interno di una cucina. Un giorno, per esempio, mi hanno fatto ricordare di quando stavamo a cena da una persona che conoscevo appena, con 40 persone. A un certo punto sono andato dal padrone di casa e gli ho detto: “Abbi pazienza, non sei in grado”. Ho fatto da mangiare io per tutti. Anche se ora non faccio lo chef per me cucinare è una cosa naturale. Il sapore è al centro della mia vita.

Quello che ti ricordi di più?

Dammi ancora un attimo. Perché ora, di fronte a me, tra le crepe del terreno di fronte alla mia sedia, c’è la portulaca. Sarebbe perfetta per aggiungere un po’ di sapore acidulo a un’insalata. Tutti i miei viaggi hanno avuto a che fare col cibo. Attraverso questo mi relaziono col mondo e quindi per questo il sapore è al centro della mia vita. Nella cucina di ora è tutto muscolare. Fuochi, padelle, fornelli. Ma in realtà è la calma quella che deve regnare. L’incontro con l’altro che passa attraverso il cibo, la conoscenza reciproca che si trasmette attraverso il sapore. Non è un’immagine che ci fa sentire meno soli?

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Sì, lo è. Quindi, il sapore che ti ricordi di più?

Di quando andavo in montagna ed era marzo, quindi primavera. Finivo la giornata di sci con una leggera scottatura in viso. E preparavamo l’insalata di tarassaco, cipolla fresca e uovo barzotto. Questo è l’odore che mi ricordo adesso. Per l’autunno mi viene in mente il profumo dei primi funghi. D’inverno quello della neve, che scrocchia. Le pesche, invece, per l’estate.

Stasera che cucinerai?

Andrò a cena fuori con amici a mangiare un piatto di verdure con un bicchiere di vino, che non tocco da un mese.

Ed è proprio con un bicchiere di vino in mano, magari piemontese come te, che riesci a svestirsi dell’immagine di un Federico Ferrero sempre così elegante e impeccabile?

No, quello è il momento in cui mi incazzo. Il 90% dei vini piemontesi sono falsi. La tecnologia dovrebbe essere evitata nelle cantine. Gli unici vini che bevo sono quelli naturali. Senza procedimenti chimici e meccanici artificiali e a bassa gradazione. Alcuni produttori esprimono quelle eccellenze, ma il Piemonte è indietro. A meno che non si apra un Barolo degli anni ‘40.

E quelli biodinamici sono altrettanto buoni?

Vini biodinamici e naturali sono creati con pratiche complementari ma non univoche. Nel caso di quelli biodinamici emergono due principi attivi: zolfo e rame. Quelli naturali vengono forgiati senza pratiche tecnologiche di cantina, senza solfitazione e senza lieviti selezionati.

Ha mai più rifatto l’insalata di riso, dopo quella volta famosa?

Sì, la preparo spesso con i miei amici più stretti. L’ultima volta è stata qualche giorno fa in Grecia. Il riso è quello integrale del Vercellese, prodotto da un solo ettaro di terreno. Poi ho aggiunto una grattugiata di limone, un cetriolo maturo delle isole delle cicladi, profumato e marinato con il sale raccolto sugli scogli.

Federico Ferrero, un primo piano – Fonte: Federico Ferrero \[…\] [Leggi tutto](https://quisine.quandoo.it/trend/federico-ferrero-chef-masterchef/attachment/federico-ferrero/)

Se dovessi stare non dietro ma davanti ai fornelli di Masterchef, quale sarebbe il tuo approccio con i concorrenti?

Capire se c’è una vera passione, un genuino atto d’amore per i sapori. E spesso manca. Perché mancano la cultura, lo studio. Drammaticamente tutto quello che ha a che fare con lo sviluppo delle arti, anche quella culinaria, passa per l’aristocrazia. E quindi anche la cucina regionale non è altro che un appannaggio di quella aristocratica.

Quindi la cucina del popolo è un semplice surrogato?

Il popolo poteva solamente pensare a nutrirsi. Sport, letteratura e anche sapore erano materie che masticavano bene solo gli aristocratici. La cucina regionale, come potremmo intenderla noi oggi, veniva mangiata dal popolo una sola volta l’anno. Le cucine di oggi sono una scopiazzatura di quelle aristocratiche di un tempo. Ma secondo te il vitello tonnato poteva essere una ricetta del popolo? Ma quando mai i contadini potevano usare i capperi, le acciughe e l’alloro da bollire con una carne così pregiata. E poi il tonno in Piemonte lo vedi bene? Tutto questo è inverosimile. Il vitello tonnato nasce da chef francesi e viene poi trasferito nella cucina piemontese da una signora in servizio casa Savoia. Tutto un appannaggio. Come il cibo fotografato di oggi.

Stai dicendo che le cucine dello Stivale sono italiane solo in parte?

Sono italiane, ma non sono l’eccellenza. La cucina italiana è nata con Ada Boni e il suo Talismano della Felicità, non prima. Le cucine regionali erano in realtà quelle della sopravvivenza. In Abruzzo le carni buone venivano vendute, quelle col verme le facevano cuocere a lungo. La capra veniva ammazzata una volta l’anno e ci volevano 10 ore per ammorbidirla un po’ con le cipolle. Questa non è l’eccellenza. Le ricette regionali sono state molto spesso ideate pochi anni fa. E diffidate sempre di quelle col prosciutto cotto: sono inventate senza dubbio, perché quello è un prodotto frutto dell’industrializzazione, arrivato solo negli anni ‘60.

Federico Ferrero – Fonte: Federico Ferrero \[…\] [Leggi tutto…<](https://quisine.quandoo.it/trend/federico-ferrero-chef-masterchef/attachment/federico-ferrero-masterchef/)

E il guanciale della carbonara?

La carbonara di un tempo non era quella che si mangia da Roscioli. Quel pezzo di guanciale mezzo rancido che veniva trasportato sopra un mulo, unito poi alla farina con le farfalline, erano i veri ingredienti della carbonara. La cucina regionale di oggi è alla ricerca della ripetizione dell’esperienza. Le discussione su aglio sì o aglio no sono delle stronzate. Le ricette di oggi sono una codifica di quelle degli anni ‘60. Nate anche grazie all’enfatizzazione dei marchi D.O.P quindi negli ultimi 10-15 anni. Sai quante ricette ci sono della carbonara?

Direi parecchie. Una decina?

Tante quante le famiglie romane.

Quindi non possiamo fidarci di nessun piatto?

Bisogna essere consapevoli.

Se dovessi scegliere un ospite per andare a cena chi chiameresti?

Ieri sera sono stato a cena con la meravigliosa archeologa greca Lila Marangou. Donna di ottantatrè anni che sa parlare nove lingue correttamente e di una cultura sterminata. Risceglierei lei. Ci stavo pensando proprio stamattina, mentre mangiavo all’alba una pasta e fagioli in Grecia, a quant’è stata bella quella cena. La bellezza è sempre una delle maniere migliori per poter trascorrere la serata. Se combinata alla bellezza culinaria ti senti pieno per una settimana.

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