Trentino-Alto Adige, uno sguardo alla coltivazione delle mele e non solo
Coltivazione delle mele in Trentino Alto Adige e non solo
La cultura gastronomica dell’Alto Adige e del Trentino ha subìto influenze soprattutto dall’impero austro-ungarico, ed è simile sia alla cucina austriaca moderna, che a quella bavarese e svizzera; ma vuoi forse per la lontananza della cultura germanofona, vuoi per una tendenza regionale a non promuoversi più del necessario, i piatti del Trentino-Südtirol non hanno mai lasciato quel segno indelebile nell’immaginario nazionale.
Ed è un peccato, perché questa cucina ha tanto da offrire, e in alcuni casi lo offre già. La sua offerta diversificata ha un filo conduttore costante: la scelta delle materie prime di qualità, locali e – come in voga nei paesi di lingua tedesca – da agricoltura biologica certificata.
Eppure non è che i prodotti del Trentino siano di nicchia, anzi. Molti di noi consumano quotidianamente una fetta di Asiago o di Speck; e molto più probabilmente addentano una mela della Val Venosta: grazie al contributo della regione, in base a dati FAO risalenti al 2014, l’Italia è il quinto esportatore di mele al mondo, secondo in Europa solo alla Polonia. Nel complesso il Trentino-Südtirol contribuisce al 72% della produzione nazionale.
A cavallo fra le culture
Südtirol? Alto-Adige? Trentino? Ad allontanare i curiosi ci pensa il nome stesso, visto che per molti è difficile capire quale sia la differenza tra i tre termini geografici, e il rischio di uno strafalcione è sempre dietro l’angolo. In realtà la distinzione è semplice: il Trentino corrisponde alla provincia di Trento, e l’Alto Adige fa capo alla provincia di Bolzano; quest’ultimo, essendo più legato alla cultura austriaca (si trova a nord della regione, esattamente al confine) è noto anche con il nome tedesco di Südtirol, Tirolo del Sud, per distinguerlo dal Tirolo austriaco.
Perché questa confusione? Un tempo le due province autonome e il Tirolo austriaco facevano parte di un’unica contea più grande, inclusa nell’impero austroungarico; ma a seguito delle trasformazioni storiche e delle due guerre mondiali, la divisione tra Austria e Italia ha portato alla configurazione attuale. Oggi, il termine Südtirol viene utilizzato (erroneamente) in senso esteso, per indicare l’intera regione sia per motivi di marketing che di semplificazione.
Il Trentino-Alto Adige poi è una regione a statuto speciale, con ambiti di autonomia legislativa per ognuna delle due province, e si distingue come modello sociale da tutte le altre regioni d’Italia. Senza contare che ci sono tre gruppi linguistici distinti: l’italiano è parlato in entrambe le province, il tedesco è lingua ufficiale della provincia di Bolzano, mentre il ladino viene parlato da una ristretta minoranza linguistica sparsa in alcune valli della regione.
Questa diversità si riflette anche in cucina: a dimostrazione dell’appartenenza sia alla cultura austriaca che a quella italiana, nella produzione regionale non mancano canederli, gulasch, schnapps, apfelstrudel, mezzelune, speck e müsli. Di certo non pizza e pasta, ed è proprio per questo che la cucina del Trentino-Alto Adige merita di essere esplorata.
Oltre alle mele c’è di più
Ciò che stupisce del Trentino-Alto Adige è che nonostante sia una regione molto sviluppata e a tratti all’avanguardia – nell’uso delle rinnovabili, nella ricerca, nei servizi turistici, nel reddito pro capite con Bolzano che ha i più alti salari d’Italia – l’agricoltura gioca ancora un ruolo centrale. Il settore più importante è la frutticultura: la regione ha il primato italiano nella produzione di mele, contribuendo al 70% della produzione nazionale; il 50% delle mele del nostro Paese viene prodotto nella provincia autonoma di Bolzano.
La produzione si organizza attorno a pochi consorzi che aggregano tantissimi produttori locali: i marchi che ne nascono sono giganti del settore ortofrutticolo. Il più famoso è Melinda, fondato nel 1989: da solo copre il 13% della produzione italiana e riunisce più di 16 cooperative. Poi ci sono Marlene, Val di Non, Sant’Orsola, Val Venosta, la Trentina, e il Südtirol (il cui logo indica anche l’Indicazione Geografica Protetta). Sembrerebbe un classico esempio di prodotto locale certificato, ma in questo caso si indica anche la qualità del processo produttivo, superiore agli standard di legge: il 96% dei frutticoltori altoatesini pratica la “coltivazione integrata”, una modalità di coltivazione sostenibile e a basso impatto ambientale, e i coltivatori di mele biologiche sono ampiamente diffusi.
Ma non solo mele: anche la produzione di latticini è importante. L’Alto Adige è l’unico territorio europeo a poter vantare una produzione di latte realizzata completamente senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati, e al di là della scelta etica, questa decisione mostra quell’attenzione per la qualità che orienta la produzione locale.
Il latte poi, dopo le mele, è il prodotto agricolo più importante: ci sono 5.000 produttori e 70.000 vacche nel solo Alto-Adige. Yoghurt, latte e tantissimi formaggi: si va dall’Asiago (prodotto anche in Veneto) al Trentingrana, per non parlare del Fontal e del Puzzone di Moena.
Sul versante dei salumi il re indiscusso è lo Speck: simile alla parola tedesca per “lardo”, in realtà è un prosciutto crudo disossato, leggermente affumicato, cosparso di una miscela di aromi (pepe, alloro, ginepro, rosmarino) e un pizzico di sale, aggiunto poco prima della stagionatura. Nel 2015 le vendite sono cresciute del 2,4% rispetto al 2014; il prosciutto poi è talmente radicato nella tradizione locale che accompagnato da pane, formaggio e vino, è il protagonista assoluto della tipica merenda altoatesina.
Ovviamente la regione ha tantissimi altri prodotti (a partire dai suoi eccellenti vini), ma visto che è la sua cucina ad essere ignorata, può essere utile esplorare prima le sue ricette più rappresentative. Molti simboli regionali come gli knödel, lo strudel e lo speck hanno origine austriaca e si sono diffusi attraverso l’Alto Adige, ma sono presenti anche in territorio trentino, a volte con nomi diversi.
Apfelstrudel: un dolce ricco di storie e di culture
Le mele sono il prodotto più esportato dal Trentino-Alto Adige e il traino dell’economia regionale: non solo frutta ma anche succhi, marmellate e dolci. La torta per eccellenza è l’apfelstrudel, noto più comunemente come strudel di mele: è un dolce fatto con la cosiddetta “pasta matta”, il cui ripieno è formato da mele a dadini, uvette, cannella ed altri ingredienti che variano in base alla zona di produzione.
Si dice che l’apfelstrudel sia una variante regionale del turco baklava, esportato nei territori dell’impero ottomano tra cui l’Ungheria, e per assimilazione diffusosi nei secoli successivi in tutte le province dell’Impero austro-ungarico; essendo la mela uno degli ingredienti tipici della cucina locale trentina, la versione importata ha perso molti dei tratti originali e col tempo si è trasformata nel dessert che tutti oggi conosciamo. Questo dolce è la colonna portante della pasticceria di Trento e dintorni, e viene preparato soprattutto nella Val di Non utilizzando la varietà di mele “Golden Delicious”, mele zuccherine capaci di mantenersi morbide durante la cottura; in alternativa, altrove si usa la varietà di mele “Renetta”.
Schlutzkrapfen: il piatto delle buone occasioni
Gli Schlutzkrapfen sono una variante regionale delle mezzelune, molto simili a degli agnolotti ripieni di ricotta e spinaci. Sono tipici della Val Pusteria, mentre nelle valli ladine sono noti come cajincì. Per preparazione e gusto somigliano di più ai pierogi polacchi, con la differenza che il ripieno è quasi esclusivamente di spinaci. La sua origine è molto lontana: era un piatto che veniva consumato dalla popolazione contadina nel fine settimana, non la domenica ma il sabato sera, prima del quale si preparava un impasto di farina di segale e d’orzo, sale e acqua; in tempi di magra si preferiva fare un ripieno di rape, mentre in condizioni regolari il ripieno era fatto di spinaci, formaggi e spezie come la noce moscata.
Dopo la cottura in acqua salata, gli Schlutzkrapfen vengono rosolati nel burro fuso e nel formaggio, condimento che gli conferisce quel sapore pieno, caratteristico. Oggi della ricetta originale non è cambiato molto: gli unici cambiamenti investono la farina, che adesso è di frumento, e l’uso di macchinari che ne facilitano la preparazione (nel caso non si voglia farli a mano).
Canederli: il piatto simbolo del Trentino-Alto Adige
La più antica testimonianza del canederlo (dal tedesco Knödel, “grumo”) è in un affresco del XII secolo nella cappella di Castel Appiano: Maria osserva una giovane seduta davanti a una padella mentre mangia un canederlo appena cotto.
Si tratta del piatto più rappresentativo del Südtirol, e consiste in uno gnocco di pane del diametro di 4-6 centimetri, il cui impasto è composto da cubetti di pane raffermo imbevuti in latte e uova, insaporiti poi con l’aggiunta di speck (e in quel caso abbiamo gli Speckknödel) oppure di formaggio (Käseknödel), oltre a prezzemolo e farina ben visibili sulla superficie esterna.
Come spesso avviene, ogni area ha la sua versione, e quindi c’è chi usa grano saraceno al posto del pane (come in Val Passiria), chi preferisce cuocerli al vapore invece che nell’acqua (alta Val Venosta) o chi li fa pressati (come in Val Pusteria). La ricetta tradizionale prevede che una volta bolliti, i canaderli vadano mangiati nel brodo; un tempo li si mangiava da una padella comune al centro del tavolo – come testimoniato dall’affresco – mentre oggi si mangiano direttamente sul piatto, accompagnati da altre specialità locali o mitteleuropee come lo spezzatino (gulasch), o altri secondi di carne, i crauti o la verza cruda.
Zum Wohl!
Non si tratta di una portata da addentare, ma il Trentino-Alto Adige produce liquori e vini tra i più apprezzati del Paese, ideali per concludere un pasto e brindare come si deve.
Il più noto è il Trentino Vino Santo, un vino DOC della provincia di Trento e della Valle dei laghi, ottenuto dalla fermentazione di una varietà speciale di uva coltivata nel vitigno Nosiola. Il sapore è dolce, da passito, e quindi va consumato esclusivamente con dei dessert o a fine pasto.
Un’altra bevanda degna di nota è la grappa trentina, tutelata dal consorzio di qualità Trentino Grappa, che ne garantisce la produzione in loco assegnando un marchio a forma di tridente su ognuna delle bottiglie che rispettano i criteri di certificazione. Come ogni grappa, anche quella trentina è ottenuta dalla fermentazione della vinaccia, cioè dall’insieme di bucce e vinaccioli rimasti dopo la spremitura dell’uva usata per i vini. Le grappe trentine però vengono preparate esclusivamente con uve locali, seguendo un processo vecchio di secoli e accurato, come in ogni prodotto nella cucina di questa fantastica regione, spesso e ingiustamente sottovalutata.